Altri tempi
Marco Arosio
Pubblicato su Case da abitare n. 105, marzo 2007, p. 141.
Parlare della propria casa non è facile: l’ambiente in cui si vive è parte della propria anima, un rifugio per tutto quello che si ama e che si vuole difendere. E poi ho una certa vergogna, mi considero un uomo fortunate che a 26 anni si è trovato ad abitare la vecchia casa dei bisnonni, sul naviglio della Martesana. Uno spazio meraviglioso, di grande effetto, un poco smisurato per un single cronico come me.
La nonna faceva la pittrice, negli Anni 20 andava a bottega da un noto pittore ritrattista dell’epoca, Attilio Andreoli, ma agli occhi di suo padre questo non bastava e allora comprò questa villa isolata nella campagna tra Milano e Sesto San Giovanni per consentirle di dipingere en plein air.
Quando sono venuto ad abitarci, il quartiere era completamente cambiato, ma il naviglio e le sue vecchie ville erano rimasti intatti, preservando la loro atmosfera un po’ decadente. La casa era in uno stato rovinoso e aveva perso molti dei suoi elementi caratteristici: rivestimenti, camini, infissi. Anche il giardino aveva perso la sua identità riempiendosi di essenze di nessun valore.
Con il mio lavoro di antiquario ho riposizionato qui molti arredi provenienti da case scomparse e sottilmente sono soddisfatto di stupire I miei ospiti che pensano molti di essi siano originali. I pavimenti di piastrelle di cemento seminato a fasce concentriche e le statue del giardino provengono da un albergo coevo del lago di Como mentre mobili liberty della sala da pranzo – perfetti per dimensione – sono di una villa quasi gemella alla mia.
Vivere in un grande spazio presume però una buona organizzazione. Per questo mi sono dotato di una cucina ultramoderna; l’ingresso l’ho voluto ovale, come nelle antiche case neoclassiche nasconde uno spazio guardaroba per gli ospiti e un minuscolo bagno. Ho restaurato la vecchia veranda che dà sulla Martesana come cucina di rinforzo per servire l’aperitivo anche se è sempre gelata, causa degli infissi originali di ferro.
Il riordino del giardino è stato più complicato e ci è voluta l’intransigenza dell’amico gardner Fabio che mi ha portato a fare tabula rasa di tutto ciò che era cresciuto male per poi (lentamente!) integrarlo con nuove piante che potevano essere pensate qui ai primi del Novecento. La mia passione per i viaggi mi porterebbe a un carattere nomade e poco incline all’accumulare oggetti, ma poi non riesco a moderarmi. Non ho una giacca decente nell’armadio, ma in compenso ho quattro servizi diversi di maiolica e porcellana, vassoi di tutti i generi (soprattutto Fornasetti), bicchieri, alzate, coppe, più di una vetreria. Mi sono dotato di panchine dismesse da giardini pubblici e anche poltroncine in ferro, create apposta per bambini viziati.
Tutto questo costa molto. È per questo che la mia casa è spesso usata come fondale per servizi fotografici e spot pubblicitari bisognosi di atmosfere retrò. Ma alla fine condividerla con altri è forse il modo di renderla più viva e allegra.
Preferisco che i parquet si consumino sotto il tacco di mille ballerini, piuttosto che lasciarli disfare dal silenzio dei tarli.
Parlare della propria casa non è facile: l’ambiente in cui si vive è parte della propria anima, un rifugio per tutto quello che si ama e che si vuole difendere. E poi ho una certa vergogna, mi considero un uomo fortunate che a 26 anni si è trovato ad abitare la vecchia casa dei bisnonni, sul naviglio della Martesana. Uno spazio meraviglioso, di grande effetto, un poco smisurato per un single cronico come me.
La nonna faceva la pittrice, negli Anni 20 andava a bottega da un noto pittore ritrattista dell’epoca, Attilio Andreoli, ma agli occhi di suo padre questo non bastava e allora comprò questa villa isolata nella campagna tra Milano e Sesto San Giovanni per consentirle di dipingere en plein air.
Quando sono venuto ad abitarci, il quartiere era completamente cambiato, ma il naviglio e le sue vecchie ville erano rimasti intatti, preservando la loro atmosfera un po’ decadente. La casa era in uno stato rovinoso e aveva perso molti dei suoi elementi caratteristici: rivestimenti, camini, infissi. Anche il giardino aveva perso la sua identità riempiendosi di essenze di nessun valore.
Con il mio lavoro di antiquario ho riposizionato qui molti arredi provenienti da case scomparse e sottilmente sono soddisfatto di stupire I miei ospiti che pensano molti di essi siano originali. I pavimenti di piastrelle di cemento seminato a fasce concentriche e le statue del giardino provengono da un albergo coevo del lago di Como mentre mobili liberty della sala da pranzo – perfetti per dimensione – sono di una villa quasi gemella alla mia.
Vivere in un grande spazio presume però una buona organizzazione. Per questo mi sono dotato di una cucina ultramoderna; l’ingresso l’ho voluto ovale, come nelle antiche case neoclassiche nasconde uno spazio guardaroba per gli ospiti e un minuscolo bagno. Ho restaurato la vecchia veranda che dà sulla Martesana come cucina di rinforzo per servire l’aperitivo anche se è sempre gelata, causa degli infissi originali di ferro.
Il riordino del giardino è stato più complicato e ci è voluta l’intransigenza dell’amico gardner Fabio che mi ha portato a fare tabula rasa di tutto ciò che era cresciuto male per poi (lentamente!) integrarlo con nuove piante che potevano essere pensate qui ai primi del Novecento. La mia passione per i viaggi mi porterebbe a un carattere nomade e poco incline all’accumulare oggetti, ma poi non riesco a moderarmi. Non ho una giacca decente nell’armadio, ma in compenso ho quattro servizi diversi di maiolica e porcellana, vassoi di tutti i generi (soprattutto Fornasetti), bicchieri, alzate, coppe, più di una vetreria. Mi sono dotato di panchine dismesse da giardini pubblici e anche poltroncine in ferro, create apposta per bambini viziati.
Tutto questo costa molto. È per questo che la mia casa è spesso usata come fondale per servizi fotografici e spot pubblicitari bisognosi di atmosfere retrò. Ma alla fine condividerla con altri è forse il modo di renderla più viva e allegra.
Preferisco che i parquet si consumino sotto il tacco di mille ballerini, piuttosto che lasciarli disfare dal silenzio dei tarli.